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I presagi di Morte nella
cultura popolare sarda
I presagi di Morte nella
cultura popolare sarda
Nelle non molto estese comunità agro-pastorali, la Morte era in primo
luogo una presenza naturale, un fatto "che modificava lo spazio e il
tempo di un gruppo sociale e che interessava l'intera collettività [SATTA]":
i riti che le seguivano coinvolgevano infatti tutti necessariamente (prima con
la sistemazione degli oggetti religiosi nella stanza del defunto, poi con i
rintocchi funebri della campana nella chiesa parrocchiale, con le ultime
visite dei parenti e degli amici, la partecipazione al lungo corteo
dall'abitazione fino al cimitero). Con l'uso di tenere il lutto la vita
riprendeva normalmente solo dopo qualche mese, quando le visite al cimitero si
diradavano gradualmente. Certamente la funzione originaria e l'esigenza
fondamentale che stavano alla base di questi "riti collettivi" era
quella di esorcizzare la Morte stessa, da parte della comunità che ne era
stata colpita: la Morte prendeva con sè un individuo, ma feriva la collettività
che doveva progressivamente cicatrizzare la piaga inferta.
La Morte era però anche un evento atteso con paura e rassegnazione: e
soprattutto era temuto il suo giungere improvviso. Considerato che era molto
nota alla comunità la caratteristica degli animali di percepire molto prima
dell'uomo il verificarsi di molti eventi naturali, l'elaborazione culturale
pervenne a "codificare" una serie di "segni premonitori",
che si pensava annunciassero la scomparsa di qualche membro della comunità
stessa.
In primo luogo gli uccelli, e soprattutto quelli notturni (era naturale che
l'immagine della Morte si sovrapponesse con quella della Notte, la civetta, s'istria, il gufo, su cuccumiau, il passero
solitario, sa solitaria, erano ritenuti nunzi di Morte qualora si
posassero sul tetto di casa, o verso la casa rivolgessero il loro verso.
Comunque, presagivano la Morte di qualche abitante della zona ove il loro
canto si diffondeva. Erano infatti animali ritenuti in grado di "sentire
l'odore della Morte" (leare su fragu 'e sa morte).
Anche il cane, considerato da tutti "l'avviso dell'anima", sa
tzitta 'e s'anima, perchè vedeva e comunicava con i suoi ululati la
presenza di morti fra i vivi, aveva la capacità di presentire la Morte, in
quanto sos mortos chi ziran sun sinnale 'e morte, i morti che vagano
sono segno di Morte.
Al presagio dato dalla gallina era invece possibile rimediare: sa pudda
chi cantat cheret pesada (la gallina che canta deve essere rimossa) per
evitare eventuali disgrazie. Se dopo uno strepito notturno nel pollaio si
rinveniva la mattina una gallina morta, si riteneva allora che la Morte fosse
passata nottetempo ma avesse preferito colpire un animale anzichè un uomo.
Altri presagi erano costituiti dal gallo che cantava prima di mezzanotte, o il
passagio di una cometa. Un alone rossastro intorno alla Luna, invece, lasciava
presagire uno spargimento di sangue, e allora si diceva: sa luna jughet
corte o est abba o est morte (la luna ha un cerchio intorno, o è pioggia
o è Morte). Anche lo scorgere una stella in vicinanza della Luna faceva
presagire la morte violenta di un individuo della comunità, richiamando
l'immagine della pallottola. Invece, si credeva che l'olio sparso a terra per
la rottura di un recipiente dovesse poi essere utilizzato per preparare una
lampada funeraria.
Estremamente ricco e interessante è l'aspetto onirico dell'argomento, in
quanto innumerevoli erano gli avvertimenti di Morte che si potevano trarre dai
sogni. Erano da prendere in considerazione però i soli sogni fatti dopo la
mezzanotte, ca su sambene est posadu, perchè il Sangue è calmo.
Infatti, i morti in sogno dovevano essere temuti se ripetevano per due volte fulanu
est mortu (tizio è morto), se baciavano o mandavano a qualcuno i saluti,
se convincevano il sognatore a seguirli o vincevano nella lotta con persone
vive; era presagio anche accettare un regalo in sogno da parenti, amici o
conoscenti non defunti; oppure la visione del ballo dei morti, che indicava
l'invito ad unirsi alla compagnia danzante; ancora, sognare qualcuno morto da
poco che passeggia per strada era convincimento che la Morte avrebbe colpito
presto in quel vicinato; sognare una vedova non in lutto o in procinto di
sposarsi di nuovo presagiva la prossima vedovanza di una donna sposata della
comunità.
D'altra parte, l'incontro con persone già morte non avveniva solo in sogno.
BOTTIGLIONI cita le numerose pratiche scaramantiche diffuse in Gallura volte a
evitare l'incontro con li vuglietti (le anime dei morti incarnate in
qualche animale), con gli ànimi bulattighi (i bimbi morti senza
battesimo), con le panas (le donne morte di parto), con la reula (la
processione dei morti) e lu traicòggiu (uno spirito di defunto che
trascina con sè una catena e una pelle, seguito da una schiera che intona
salmi funebri). Nel Logudoro e nel Campidano era temuto dai pastori l'incontro
con il carro dei morti, carr'e sos mortos o carru gòcciu,
che cammina senza che alcuno lo tiri, e si trasforma poi in un gran fuoco
attorno al quale gli spiritelli si mettono a danzare come in una sorta di
sabba infernale. Sa regula, corteo dei morti, era temuta in Goceano,
dove si credeva che chi avesse visto anche solo il lume delle loro candele o
ne avesse udito il salmodiare sarebbe morto se non si fosse spostato per
evitare di essere travolto. E anzi si narra che molti furono salvati da
parenti o amici defunti che, usciti dal corteo, li avevano allontanati per
evitarne la morte.
Quindi, il ritorno delle anime dei morti provocava grande paura, come un
pericolo sempre incombente sulla comunità dei vivi. Secondo SATTA, anzi,
proprio queste leggende erano il tentativo del gruppo sociale di controllare
il fenomeno della Morte, che spaventava ed era d'altro canto inevitabile.
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