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Garibaldi in Sardegna
Giuseppe Garibaldi giunse per la prima volta a Caprera il 25 settembre 1849. Arrestato dopo la fuga da Roma si era deciso di mandarlo esule a Tunisi, ma il Bey non volle accoglierlo e la nave che lo trasportava, comandata dal maddalenino Francesco Millelire, ebbe ordine
di sbarcarlo a La Maddalena in attesa di determinazioni. Gli era compagno il
fido "Leggero", il maddalenino Giovanni Battista Culiolo, che lo aveva
seguito in tutte le sue peregrinazioni e che aveva avuto la sorte di assisterlo
nel momento di maggior sconforto: la morte di Anita nella pineta di Ravenna.
Ad accogliere gli esuli c'era a
Cala Gavetta della Maddalena tutta la popolazione; Leggero rimetteva piede nel
suo paese dopo tanti anni e tutti volevano conoscere l'uomo di cui era giunta
nell'isola l'eco di tante gesta. Numerosi altri maddalenini gli erano stati
vicini: Giacomo Fiorentino era stato il primo caduto della prima battaglia di
Garibaldi in difesa della Repubblica di Rio Grande do Sul e Antonio Susini, eroe
della battaglia del Salto, era stato da lui lasciato al comando della Legione
Italiana di Montevideo.
Durante quel primo soggiorno
Garibaldi volle conoscere i parenti dei suoi fidi ed in particolare i Susini ai
quali rimarrà poi legato da indissolubili vincoli di amicizia. Si recò a
trovarli nella casa di Barabò, nella frazione Moneta, Dove i Susini si
apprestavano alla vendemmia. Partecipò con loro al lavoro dei campi, alle soste
gioiose, ai pranzi alle partite di caccia e di pesca. Proprio in quei giorni fu
protagonista di un ardimentoso intervento ancora oggi ricordato da una lapide
posta sulla facciata della casetta di Barabò. Durante una battuta di pesca salvò
da sicura morte tre uomini e un bambino rovesciatisi con la barca. Uno di questi
tale Tarentini, era forse il padre dell'unico maddalenino che partecipò
all'impresa dei mille.
A La Maddalena, dopo tante
peripezie, Garibaldi conobbe finalmente una pausa di tranquillità in mezzo a
gente nella quale poteva identificarsi: gente ardimentosa, fiera, ma semplice e
schietta. Il suo primo soggiorno durò appena un mese, ma forse fù determinante
per tutta la sua vita futura. Prima di lasciare l'isola e partire verso l'esilio
di Tangeri, indirizzò al sindaco Nicolò Susini una lettera, oggi riprodotta
nell'atrio del palazzo comunale della Maddalena, nella quale esprime gratitudine
all'intera popolazione per l'accoglienza ricevuta.
Al ritorno dalla sua seconda
avventura americana, deciso a mettere su casa e a dedicarsi alla famiglia,
Garibaldi inizia il cabotaggio nel Mediterraneo. I frequenti viaggi lo riportano
in Sardegna e a La Maddalena. Innamoratosi della terra sarda decise di
acquistarvi un terreno e stabilirvisi definitivamente. Le sue attenzioni caddero
dapprima sulla penisola di Capo Testa che contrattò con i fratelli Pes, detti
"frati Pilosi", successivamente gli fu proposto l'acquisto dell'isola
di Coluccia, nei pressi di Porto Pozzo, ma furono i Susini a dissuaderlo
consigliandogli di stabilirsi nell'isola di Santo Stefano. Garibaldi, infine,
prescelse Caprera e con l'aiuto dei suoi amici riuscì a comprare alcuni
appezzamenti di terreno dapprima da tale Ferracciolo e poi dagli inglesi
Collins.
Nel 1856, dopo aver riattato a
Caprera la vecchia casa di un pastore ormai ridotta a pochi ruderi, aiutato nei
lavori dal figlio Menotti, si reca a Londra col duplice scopo di acquistare un
imbarcazione e convincere la fidanzata inglese Emma Roberts a venire a vivere
con lui nell'isola. Ma Emma per l'opposizione dei figli, non potè seguirlo e
Garibaldi fece ritorno col suo sospirato "cutter" che in ricordo del
fallito fidanzamento volle battezzarlo con il nome di "Emma".
Ritornato a Caprera iniziò i suoi commerci tra Nizza, Genova e la Sardegna
trsportando anche materiali per la costruzione della sua casa. Trasportò per
prima cosa una casa di legno smontata che installò accanto alla prima casetta e
così, nell'estate del 1856 potè essere raggiunto dai figli accompagnati da
Battistina Ravello che egli aveva assunto per accudirli. Ma il destino doveva
ancor più legarlo alla sua isola. Il 7 gennaio 1857, al ritorno da un viaggio
da Genova, l'"Emma", carica di calce, pozzolana, ferro e legnami,
naufragò nei pressi di Caprera; fu una svolta decisiva nella sua vita, da quel
momento egli decise di abbandonare il mare e di dedicarsi definitivamente
all'agricoltura.
Inizialmente Garibaldi
possedeva solo metà dell’isola di Caprera, l’altra metà era di un inglese,
gia' citato, di nome Collins col quale talvolta litigava. Pare che il Signor
Collins trascurasse i suoi maiali che sconfinavano nella terra dell’eroe dei
due mondi danneggiando vigne e orti. Menotti, figlio di Giuseppe, uccise a
fucilate un maiale provocando le rimostranze di Collins. Garibaldi gli propose
di risolvere la questione con un duello….Collins si acquietò e divenne ottimo
amico del barbuto vicino. Alla morte del Signor Collins, la vedova propose
all’eroe di acquistare la sua metà dell’isola, ma Garibaldi non aveva il
denaro per farlo. La faccenda fu risolta dal quotidiano Times di Londra, che aprì
una sottoscrizione tra i numerosi ammiratori di Garibaldi, raccogliendo così la
somma di denaro necessaria per l’acquisto della quota di Collins e per il
rimpatrio in Inghilterra della vedova Collins
Ben presto Garibaldi creò a
Caprera una piccola comunità di pastori, mezzadri, fattori e amici; la casa
venne ingrandita e vennero via via aggiunte tutte le strutture necessarie: il
forno, il mulino a vento, il magazzino per gli attrezzi, la stalla e la dispensa.
Circondato dall'affetto dei maddalenini e dei pastori galluresi presso i quali
si recava sovente, Garibaldi, da avventuriero qual'era stato, divenne finalmente
uomo, padre di famiglia, patriarca di una comunità che il pensatore
rivoluzionario russo Bakunin che si recò a visitare nel 1864, e definì "una
vera repubblica democratica e sociale".
E a Caprera maturo il suo sogno
di unità d'Italia con Roma Capitale. Gli avvenimenti successivi appartengono
alla grande storia, ma pochi sanno che dopo lo storico incontro di Teano, dopo
aver consegnato a Vittorio Emanuele un regno di nove milioni di abitanti,
Garibaldi fece ritorno a Caprera con un sacco di sementi, tre cavalli e una
balla di stoccafisso. Lo seguivano alcuni amici fedeli e per pagarsi le spese di
viaggio gli fu necessario prendere a prestito 3.000 lire.
A Caprera, però, Garibaldi non
fu solo agricoltore, come la storia ci ha ormai abituato a pensare. Colui che
aveva posto le basi dell'Unità d'Italia, divenne"il vate di Caprera"
e Caprera fu meta di migliaia di persone, di misteriosi emissari, di influenti
personaggi. Andavano a trovarlo rappresentanti di tutti i movimenti
indipendentisti o rivoluzionari europei, dai russi ai greci, agli ungheresi, ai
polacchi agli spagnoli e per tutti egli aveva parole di esortazione, consigli e
preziose direttive. Nel settembre del 1861, si reca a trovarlo il Ministro degli
Stati Uniti per conoscere la sua decisione all'offerta fattagli dal presidente
Lincoln di porsi al comando delle truppe confederate.
Il resto, come abbiamo detto,
appartiene alla grande storia. Nel suo anelito verso Roma Garibaldi fu inseguito
e ferito da armi italiane, più volte arrestato conobbe l'ingiuria del carcere.
Quella che è invece è poco nota è la sua vita a Caprera, specie negli ultimi
anni, quando le conseguenze della ferita di Aspromonte, l'artrite e la malaria
contratta in SudAmerica ne minavano il corpo, ma non l'indomato spirito. Schivo
di onori e di ricompense, visse gli ultimi anni della sua vita in assoluta
povertà. Gli fu compagna devota e fedele Francesca Armosino, una popolana
piemontese che gli aveva dato tre figli e che egli riuscì a sposare due anni
prima della morte dopo avere ottenuto l'annullamento del matrimonio con la
contessina Raimondi.
Il "Leone di Caprera"
si spense alle 6 del pomeriggio del 2 giugno 1882 e nella Casa Bianca di Caprera
l'orologio fu fermato ed i fogli di un grande calendario non furono più
staccati: segnano ancora oggi l'ora e il giorno della morte dell'eroe. Il suo
corpo, come egli aveva desiderato, non fu cremato: non potevano essere bruciate
e disperse le spoglie dell'eroe. E di quelle spoglie i maddalenini si
proclamarono subito gelosi custodi mutando lo stemma comunale in quello attuale
che raffigura il "Leone di Caprera", che simboleggia Garibaldi, irto
su uno scoglio che rappresenta l'isola a lui tanto cara. Da quello scoglio le
spoglie dell'eroe, come dice il motto latino che contorna lo stemma araldico del
comune di La Maddalena,vigilano e proteggono le coste d'Italia:
" HEROIS CINERES ORAS
TUTORQUE LATINAS "
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