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Storia di Cagliari
La Preistoria
Cagliari, nel suo lungo cammino è stata la città egemone della Sardegna
e, data la sua posizione geografica, ha rappresentato la soglia
d'ingresso nell'isola aprendosi ai commerci e favorendo la pur asfittica
economia locale.
Il grande golfo che racchiudeva, allora come oggi la città, è stato
testimone di numerosi fatti, positivi e negativi, che hanno forgiato i
suoi abitanti abituandoli ai buoni eventi e, soprattutto, a quelli
cattivi, plasmandone il carattere e rendendolo "chiuso", quasi a
testimoniare la diffidenza verso il mare e verso l'esterno in generale,
cosa per altro comune anche agli altri abitanti dell'isola.
La città, che affonda le radici nel X secolo, dal primo scalo
improvvisato fenicio, assurse a vero centro urbano con i romani con
porto, quartieri plebei e residenziali, anfiteatro, teatro, necropoli e
sicuramente acropoli.
Il nome, che vogliamo immaginare attribuito dai suoi primi frequentatori
semiti, Karali, significava "città di Dio da "Qart" città e "El" Dio e
vanta la stessa nobile semantica di Cartagine (Qart-Adasht=Città nuova)
di cui probabilmente fu coeva; chiamata anche Karales o Carales alla
latina, con attribuzione del plurale di cui anche grandi città greche si
sono fregiate e segno palese di una area metropolitana, formata cioè, da
vari nuclei distinti.
La dislocazione geografica del sito e la sua felice posizione a sud
della più grande e più fertile pianura sarda, hanno contribuito a fare
di Cagliari un centro mercantile, la cui importanza è andata crescendo
col tempo, ma che ha anche suscitato le mire di quei popoli che volevano
controllare l'isola e che non potevano prescindere dal possederne il
cuore pulsante.
Testimonianze remote che ci riportano al neolitico antico (6000-4000 a.C.),
sono emerse in vari siti oggi ormai completamente urbanizzati.
Altri reperti risalenti al neolitico medio ( 4000 a.C. circa) sono stati
ritrovati nella collina di S. Elia e di S. Bartolomeo così come nel
promontorio della Sella Del Diavolo e nella grotta dei Colombi.
Quegli antichi abitanti amavano stare vicino al mare dal quale traevano
il necessario per la loro semplice vita, costruivano delle ceramiche
grezze e usavano armi litiche e d'osso, praticavano la pesca, marina e
lagunare, non disdegnavano la caccia che doveva essere abbondante in
quell'ambiente denso di vegetazione.
Le lagune, sono sempre state per Cagliari il tratto distintivo, residuo
di mutamenti quaternari, hanno contribuito a rendere l'ambiente ameno e
a favorire insediamenti umani in luoghi facilmente difendibili ed hanno
sempre caratterizzato l'area cagliaritano e sono sempre state la
calamita naturale che ha attirato le genti.
Sulle loro sponde si sono stanziati popoli del neolitico medio creando
circa 4000 anni fa, villaggi dediti alla pesca così come ci hanno
testimoniato le stazioni all'aperto di S. Gemiliano a Sestu e su Coddu a
Selargius.
La collina di M. Claro, ora nel pieno centro urbano della città, ci ha
restituito reperti ascrivibili all'età calcolitica (del rame 2000 a.C.)
che gli studiosi hanno compreso in una cultura che da quel sito prende
il nome. Le tombe scoperte ci hanno rivelato la religiosità di quelle
genti volte al raggiungimento della vita ultraterrena, segno di una
evoluzione del pensiero che contraddistingue popoli intellettualmente
dinamici.
I vasi ritrovati mostrano nella loro fattura la modernità acquisita con
caratteristiche impressioni lineari.
La cultura di Monte Claro fu essenzialmente di pianura, disdegnando le
zone più elevate dell'isola, quindi agricola come vocazione e volta alla
difesa da non identificati nemici che dall'esterno minacciavano la sua
integrità.
Del periodo nuragico, Cagliari non serba nulla, ciò non per mancanza di
frequentazioni, ma per le distruzioni e i riutilizzi che il susseguirsi
degli stanziamenti antropici hanno causato; è impensabile che il luogo
dove abbondano le colline e gli specchi d'acqua non sia stato
colonizzato da quel popolo che ci ha lasciato dei segni inconfutabili
della sua presenza in siti non lontani e tutti nel golfo e nelle sue
vicinanze.
Il nuraghe ora cementato per adattamenti bellici nella località de "Is
Mortorius", i nuraghi in territorio di Sarroch e la tomba dei giganti de
"sa Domu e S'Orku" ol-tre il nuraghe complesso di Nanni Arrù in
territorio di Quartucciu; il pozzo sacro di Cuccuru Nuraxi a Settimo San
Pietro.
Sono testimonianze che dimostrano la presenza nuragica e che solo le
distruzioni tipiche dei centri demograficamente consistenti hanno
cancellato dal sito cagliaritano.
Dai Fenici ai Romani
Il primo scalo fenicio, forse improvvisato, fu scelto sulle sponde della
laguna di Santa Gilla che allora, (X - IX sec. a.C.) era navigabile e
facilmente difendibile e diventò pian piano un approdo stabile che nei
secoli si rese autonomo diventando un centro urbano con i servizi
essenziali per assolvere il compito di rifornimento e scambio di
mercanzie.
Con l'arrivo dei cartaginesi nel 509 a.C. l'insediamento assunse le
sembianze di vera e propria città dipendente da Cartagine con funzionari
punici che amministravano le finanze e la giustizia, dopo un primo
antagonismo con Nora, Karalis ebbe il sopravvento diventando centro
politico di tutta la Sardegna cartaginese.
Il Governo e le istituzioni ebbero la residenza nella città e la
progressiva immigrazione di soldati, funzionari, deportati,
contribuirono alla sua semitizzazione, al contrario delle zone interne
dell'isola dove la diffusione della lingua e tradizioni puniche fu molto
più lenta. Una sorta di diversificazione quindi, in confronto al resto
della Sardegna che fece di Karalis un porto aperto alle nuove tecniche
ed a nuovi pensieri che le diedero l'impronta di città composita primo
passo verso quel mondo globale, di cui tanto oggi si parla.
Con l'arrivo dei romani nel 238 a.C. Caralis si trasformò ulteriormente
diventando un vero centro urbano con servizi pubblici, foro, acquedotti,
terme; la vocazione di pianura tipica del periodo punico, fu lentamente
abbandonata, con la costruzione di abitazioni nei dolci pendii che
coronano ancora oggi la città.
Diventata vero centro e capitale dell'isola, ebbe la fortuna di
parteggiare per Cesare ricevendo come premio l'onore di salire al rango
di "Municipium" con la conseguente cittadinanza romana per i suoi
abitanti.
Tutto intorno il popolo isolano tentava la rivolta, mentre la città
velocemente latinizzata, mostrava la sua capacità di assimilare le nuove
culture facendole sue e fondendole con le vecchie tradizioni per crearne
una nuova; questa è stata e, forse lo è ancora, la forza di Cagliari che
plasma e modella a suo favore tutto ciò che sembra minacciarla.
Il latifondo romano, la eccessiva fiscalità, forse portarono ulteriore
ricchezza alla città che diventava sempre più commerciale lucrando
probabilmente, sulle sventure altrui, crescendo con l'immigrazione di
masse di diseredati che cercavano una vita migliore ma che finivano
nella più classica emarginazione preda di ricchi e potenti che li
sfruttavano in tutti i modi.
CAGLIARI ROMANA
Quando nel 238 a.C. i Romani si impossessarono della Sardegna, la città
egemone era Nora.
Questa città fondata dai fenici, per la sua posizione più favorevole,
poiché sulla rotta della navi che sostavano per poi continuare verso la
penisola iberica, e per la sua maggiore vicinanza all'Africa Punica,
assurse ad importanza commerciale e politica che la fecero diventare
quasi una città stato.Nora però sorgeva in un golfo formato da un
promontorio e alle sue spalle aspre zone montane dove i nuragici
facilmente si potevano nascondere e colpire, questa esigenza di difesa
oltre che al sito più favorevole, portò pian piano i Romani a
decentrarsi nella non lontana Caralis.
La città di allora doveva estendersi nel lato Orientale dello stagno di
S.Gilla, con un porto interno con acque calme, facilmente difendibile e
con un entroterra pianeggiante e quindi facilmente controllabile.
La corona dei colli che circondava la città, oltre ad essere osservatori
naturali costituivano una barriera naturale per eventuali attacchi da
Nord Nord/Ovest. Il lato orientale era protetto dalla laguna di
Molentargius controllata a vista dal promontorio di S. Elia.
Oltre a questi motivi geografici e naturali, l'entroterra pianeggiante
ed adatto alla coltivazione del grano fecero la fortuna di Cagliari che
da borgo diventò vera città con porto ed economia commerciale.
Con l'arrivo di nobili romani decaduti o trasferiti per punizione in
questa remota provincia isolana la vecchia città fenicio Punica mutò
radicalmente aspetto.
Il vecchio sito presso S. Gilla si trasformò essenzialmente in quartiere
povero e popolato da sbandati e portuali, mentre i nuovi signori
costruirono le loro dimore autonome e sfarzose in zone leggermente
elevate e decentrate (Via Tigellio, C.so Vittorio Emanuele, V.le Merello
Etc.).
Il centro nevralgico delle città Romane - il Foro - sembra essere
individuato con la piazza del Carmine, nelle cui vicinanze sorgevano le
case del ceto borghese e dei piccoli commercianti.
Le terme, altro edificio sempre presente nelle città romane, potevano
essere ubicate tra la via Sassari ed il Largo Carlo Felice, ciò si può
facilmente intuire con la scoperta di canali scavati nel calcare e di
cisterne nelle zona di Via Ospedale.
Le ingegnose canalizzazioni portavano l'acqua piovana a convergere in
cisterne. Veri e propri serbatoi, dai quali all'occorrenza, forse
tramite opportune chiuse si faceva defluire l'acqua e giungere a
destinazione.
E assai probabile che un altro sito dove sorgevano i depositi del grano,
si trovasse in un luogo facilmente raggiungibile dall'entroterra e
vicino al porto per il suo carico nelle navi. Alcuni identificano questo
sito fra la via Nuoro e viale Regina Margherita; se la localizzazione
fosse esatta potremmo facilmente dedurre che al porto Fenicio-Punico
lentamente si affiancò un altro approdo essenzialmente commerciale,
localizzato nella zona di viale Diaz. Il mare a quei tempi raggiungeva
la zona dove inizia la scalinata di Bonaria e con una linea più o meno
regolare giungeva fino alla Via Crispi, lambendo la Piazza del Carmine.
Poiché quella zona era in pendenza e scoscesa (notare la pendenza del
Largo Carlo Felice) non era possibile creare un approdo che desse
funzionalità e riparo.
Intanto il vecchio centro con annesso approdo di S. Gilla diventò
probabilmente, con il passare del tempo, un porto militare. Ritornando
alla teorizzata zona portuale civile, si può facilmente intuire che dato
gli scambi ed i commerci diventò una seconda Cagliari, collegata al
centro da una supposta strada costiera. Questo giustificherebbe l'uso
della necropoli di Bonaria lontana dal foro ma vicino al nuovo centro
portuale commerciale della Via Nuoro, il continuo arrivo di militari, le
varie campagne per reprimere gli insorti, la lotta contro i
barbari/autoctoni delle montagne, creavano nella città problemi di
alloggio e sussistenza.
Non possiamo non pensare che non esistesse un luogo dove le legioni
appena sbarcate, venissero acquartierate, e dove i militari locali
risiedessero per
difendere la città e il suo entroterra con le sue colture estensive. una
vera acropoli, siamo certi, doveva esistere, posta in posizione elevata
per controllare e difendersi, a ridosso della città per meglio
proteggerla. Questo luogo potrebbe essere il colle di Castello, la
costruzione dell'Anfiteatro, scavato interamente nella roccia, può
attestare questa ipotesi.
Infatti questo luogo serviva oltre alla cittadinanza anche ai militari
che si svagavano nei periodi di riposo. Quindi la dislocazione
dell'anfiteatro fu opportunamente scelta nelle vicinanze del (Castrum)
che per ovvie ragioni di
sicurezza dava ricovero anche ai gladiatori sempre turbolenti e pronti
alla rivolta.
Perché poi costruire l'anfiteatro scavandolo nel calcare mentre sarebbe
stato più facile edificarlo con i classici mattoni?
Indubbiamente resisteva nella Cagliari il substrato Cartaginese, che fu
trasformato solo col passare dei secoli ed il modo di costruire le
abitazioni, come constatato nella casa detta di "Tigellio", ci fornisce
una prova che la tecnica muraria punica detta a telaio era un auge fino
al III secolo, anche lo sfruttamento delle necropoli già puniche come
Tuvixeddu è un'altra prova della persistenza punica ma è anche vero che
Caralis fu una delle prime città completamente latinizzate, a causa dei
commerci e del continuo arrivo di funzionari romani la parlata latina
diventò l'idioma ufficiale così come le tradizioni e gli usi.
Ciò, probabilmente, non si può dire per l'interno legato ancora a
tradizioni tribali.
Nella Cagliari latina traspare un forte contrasto tra ceti ricchi e
poveri, la lussuosità delle case dei nobili, mercanti e funzionari
pubblici si contrapponeva alla povertà delle abitazioni popolari,
dislocate in borghi fuori dal recinto metropolitano, forse da questi
borghi nacquero in seguito i "paesi" che attualmente formano
l'Hinterland cagliaritano.
Ritrovamenti fortuiti nella zona di Piazza del Carmine hanno portato
alla luce statue marmoree di indubbio pregio, le quali abbellivano case
e vie.
Sotto il punto di vista religioso Cagliari ebbe una libertà di culto che
le permise di soppiantare, col tempo, le credenze religiose Puniche con
quelle romane.
I Romani, è notorio, applicavano la tolleranza religiosa, fin quando
questa non cozzava con i loro interessi.
Le necropoli Puniche diventarono luoghi sacri, e templi di Baal o Babay
furono rispettati anzi ristrutturati e lasciati al culto. I tephatim-
luoghi sacri fenicio/punico, vennero protetti e preservati così che i
fragili vasi fittici, contenenti le ceneri, a centinaia sono stati
ritrovati. La massiccia immigrazione di genti latine compì poi il
miracolo della pacifica romanizzazione. Il cristianesimo fece i primi
passi timidamente, forse attraverso i deportati, e solo alla fine del II
secolo d.C. si sa che i sardi per carattere non sono inclini alle
innovazioni, così forse, fu in un primo tempo anche per la nuova
religione. Tuttavia nel III secolo i cagliaritani incominciarono, in
luoghi improvvisati, a riunirsi per praticare la nuova religione che
tutto sommato coincideva con i desideri di un popolo vessato. L'amore,
la pace, la libertà, erano vocaboli ormai sconosciuti a una città che
aveva perso ogni tradizione storica e che seguiva il carro del
dominatore senza sollevare la testa.
Il cristianesimo, forse, diede quello scossone che stimolò il popolo a
meglio sopportare i soprusi, ed avere una speranza per il futuro, anche
se extraterreno.
Tutto ciò portò ai primi martiri sardi, dei quali abbiamo scarse
notizie, ma che crediamo non rimasero isolati.
I VANDALI
Nel 456 d.C. i Vandali si impadronirono di Caralis e di parte della
Sardegna.
Era un popolo di stirpe Germanica di religione ariana (rifiuto della
natura Divina di cristo) che scese dal nord passando per la penisola
Iberica impadronendosi della provincia romana d'Africa.
I Vandali si dedicarono a scorrerie nel Mediterraneo insidiando e
depredando le coste Italiane.
I Vandali spedirono in esilio nell'isola numerosi Vescovi e religiosi
africani, grazie a queste immigrazioni dall'Africa, Caralis divento in
breve tempo il centro dove si discuteva di teologia e di fede.
In città fù ospitato anche San Fulgenzio che portò con sé le reliquie di
San Agostino Vescovo di Ruspe, morto durante l'attacco vandalico alla
città.
S. Fulgenzio trascorse il suo esilio nella zona dove oggi sorge la
Basilica di San Saturno, probabilmente fu proprio lui che né iniziò la
costruzione (la basilica fu completata molto più tardi, verso l'anno
1089, ad opera di Vittorini di Marsiglia, in periodo giudicale)
I BIZANTINI
Chiamati in aiuto dal Governatore Vandalo della Sardegna, Goda, che si
era auto proclamato Re dell'isola, nel 534 i Bizantini dopo aver
sconfitto i Vandali si impadronirono di Caralis e delle più importanti
città della Sardegna imponendo il loro dominio.
Giustiniano, aveva deciso di riconquistare l'ex occidente romano per
restaurare il vecchio impero, la Sardegna era quindi indispensabile per
poter controllare il Mediterraneo.
Essa faceva parte della prefettura d'Africa, con capitale Cartagine, a
Caralis risiedeva il Preside mentre il Dux, comandante dell'esercito, si
stabilì a Forum Traiani (Fordongianus).
Forse nel 718, Cagliari subì la prima incursione Musulmana che provocò
il panico nella popolazione.
I seguaci di Maometto distrussero e incendiarono la città portando con
sé un ricco bottino oltre che numerosi schiavi. Iniziava dal quel giorno
l'abbandono della città che si concretizzo più tardi quando Santa Igia
sostituì la Caralis romana che andò completamente in rovina.
Cagliari fu oggetto di numerose e tragiche incursioni da parte
dell'Islam; i Bizantini, a causa del blocco del Mediterraneo controllato
dalle navi Musulmane, rimasero isolati e lo Judex residente nella città
non ebbe più ordini ne contatti con Bisanzio e iniziò ad amministrare
autonomamente il suo territorio, così come fecero gli altri funzionari
da lui designati a controllare altre zone dell'isola i quali in un primo
tempo riconoscevano la sua autorità ma poi si resero indipendenti.
Iniziò così il periodo giudicale con l'isola divisa in quattro regni
autonomi: Calari (trasformazione di Calari), Arborea, Torres, Gallura.
Nasce il Giudicato
Sotto i colpi dell'Islam i bizantini si indebolirono sempre più, il
Mediterraneo controllato dalle navi musulmane non permise alla Sardegna
di ricevere rinforzi o altro genere di aiuti e Caralis si dette una
economia autarchica, di sopravvivenza, fino a quando fu completamente
abbandonata e come per incanto nacque il giudicato, che portò il nome
della vecchia città trasformato per metatesi in Calari.
Sulla nascita di questa entità giuridica, chiamata malamente giudicato
ma in realtà vero regno perfetto in quanto autonomo nelle trattative
internazionali e sovrano poiché non riconosceva nessuno al di sopra di
sé, si sono fatte numerose ipotesi, non supportate da prove che non
possiamo trattare in questa sede, per non rischiare di essere
superficiali, ci basti constatarne la nascita e conoscerne la mirabile
organizzazione imperniata sulle curatorie, veri e propri gioielli
amminitrativi, assimilabili alle odierne provincie, dalle quali
proveniva un delegato, nominato da una assemblea semidemocratica, con
funzioni di rappresentante locale nella Corona De Logu (Parlamento)
deputata alla designazione del Giudice.
S. Igia, erede come detto di Caralis, fu dal 900 d.C. circa capoluogo
del regno di Calari fino alla sua di-struzione, avvenuta nel 1258 ad
opera di una coalizione formata da pisani e sardi degli altri giudicati
(Arborea-Gallura) e da truppe signorili dei Doria e dei Ma-laspina oltre
dei Gherardesca.
Nel 1216 il giudice calaritano Barisone, con-cesse ai pisani la
costruzione di una rocca fortifi-cata nella collina oggi chiamata
"Castello", a cui fu dato il nome di "Castrum Calari" quella fortezza
sopravvisse alla distruzione di S. Igia e ne diventò l'erede a tutti gli
effetti, diventando pisana fino al 1324, quando fu incamerata dagli
aragonesi, nonostante concessa in feudo agli stessi pisani fino al 1326,
anno in cui lasciarono per sempre la città e l'isola.
Il Giudicato di Calari
Il giudicato o regno di Cagliari si formò alla fine del nono secolo e le
sue origini sono avvolte nel mistero.
E' probabile che a causa delle incursioni musulmane ed il controllo del
mediterraneo da parte delle flotte islamiche, i bizantini che dominavano
la Sardegna, non ebbero più contatti con la madrepatria e, abbandonati a
se stessi, instaurarono la carica unica dello Iudex Provinciae che
risiedeva a Cagliari e che assumeva i poteri civili e militari.
Si suppone che lo Judex, per controllare il territorio sardo, fu
costretto a nominare dei funzionari e spedirli nelle zone in cui l'isola
fu divisa, Gallura, Logudoro e Arborea, per meglio affrontare il
pericolo musulmano.
Con il passare del tempo questi funzionari si resero autonomi dal loro
superiore e si proclamarono a loro volta Judex del loro territorio
diventando indipendenti a tutti gli effetti.
Nacquero così tra l'900 e l'864 i quattro giudicati sardi che si possono
considerare veri regni sovrani e perfetti al capo dei quali stava il
Giudice.
I Giudicati di Logudoro , Gallura, Arborea, Calaris furono divisi in
Curatorie, territori paragonabili alle attuali province, governate da un
Curatore di nomina regia; ogni Curatoria era formata dai centri abitati
(Biddas) governata dal Maiore de Villa nominato dal Curatore.
S. Igia fu capitale del Giudicato di Calari (nome formatosi per metatesi
dal latino Caralis), anche se nel medioevo le corti erano itineranti ed
il sovrano risiedeva raramente nel suo capoluogo, gli abitanti
complessivi del neonato stato chiamato anche Pluminus per i fiumi che
l'attraversavano, erano circa centomila mentre il territorio si
estendeva nel sud dell'isola per 8000 kmq.
Curatorie del Regno di Calari
Barbagia di Seulo
Campidano
Cixerri
Colostrai
Decimo
Dòlia
Gerrei
Gippi
Marmilla meridionale (dal 1206)
Nora
Nuraminis
Ogliastra
Quirra
Siurgus
Sulcis
Trexenta
I Giudici
I giudici di Calari aggiunsero al proprio nome, alternativamente,
l'appellativo Salusio e Torchitorio; non se ne conoscono i motivi.
Mariano Salusio - L. Gunale: primo giudice noto.
Orzocco Torchitorio - L. Gunale (1058): forse affrontò intromissioni del
Regno di Arborea.
Costantino Salusio II - L. Gunale (1084).
Mariano Torchitorio II - L. Gunale (1090).
Costantino Salusio III - L. Gunale (1130): morì senza figli; si estinse
con lui la casata. La figlia di Costantino Salusio III di cui non si
conosce il nome sposò Pietro di Lacon Gunale figlio minore del Re di
Torres Gonnario e gli trasferì il titolo.
Pietro Torchitorio III - L. Gunale di Torres (1163-1188): fu costretto a
rifugiarsi presso il fratello Giudice di Torres Barisone II, da un
complotto ordito dal giudice di Arborea Barisone, che appoggiò un
pretendente al Regno di Calari sconosciuto. I fratelli, per vendicarsi,
attaccarono il Giudicato di Arborea, in assenza del sovrano.
Si accordò probabilmente, con i genovesi, per riprendere il suo regno,
ai quali concesse il monopolio del commercio nel territorio giudicale ma
i pisani, per non perdere i loro interessi ed i loro commerci, lo
attaccarono costringendolo a scappare e rifugiarsi nel Logudoro dove
morì nel 1188 (circa).
Non avendo eredi diretti, la Corona De Logu, intronizzò il figlio di sua
cognata Giorgia sposata al marchese di Massa Oberto Obertenghi:
Guglielmo.
Guglielmo I Salusio IV - Lacon Massa (1188-1214): fu un sovrano che fece
dell'azione il suo sistema di vita. Sicuro e deciso pensò di fare di
Calari il Regno egemone della Sardegna.
Nel 1194 assalì il Giudicato di Torres portandovi terrore e distruzione
arrivando a espugnare il castello del Goceano dove catturò la moglie del
Giudice logudorese Costantino II, dopo averla violentata la condusse
prigioniera a S.Igia, dove morì, per l'onta e per gli stenti. L'anno
dopo attaccò l'Arborea battendo l'esercito giudicale e puntando su
Oristano, espugnandola e compiendo ogni sorta di angherie.
Costrinse gli arborensi a riconoscerlo loro sovrano, annettendo al regno
calaritano parte della Marmilla ed altre ville di confine.
Non pago, penetrò anche in Gallura, forse per impadronirsene data la
mancanza di un re di diritto, era giudicessa di fatto Elena, in attesa
di cedere il titolo ad un marito.
Guglielmo ebbe tre figlie femmine dalle sue due moglie Adelasia
Malaspina e Guisiana di Borgundione che, come era d'uso in quei tempi
sposò a dei personaggi che potevano rendere più potente ed autorevole la
sua famiglia.
Benedetta: sposò Barisone de Lacon Serra, figlio del Re di Arborea
Pietro I.
Agnese: sposò Mariano II di Torres.
Preziosa: sposò Ugone I di Bas Serra Giudice di Arborea.
Quando Guglielmo I morì nel 1214, finì la dinastia dei Lacon-Massa ed il
titolo passò al genero, marito di Benedetta.
Barisone Torchitorio IV - Lacon-Serra (1214-1217): non ebbe tempo
sufficiente per regnare, morì nel 1217, lasciando un figlio, Guglielmo,
di pochi mesi. La Corona de Logu intronizzò Guglielmo, fino alla
maggiore età assunse compiti di reggente la madre Benedetta che diventò
Giudicessa di fatto.
Benedetta ebbe altri mariti, Lamberto Visconti, Enrico di Capraia,
Rinaldo Glandi, che probabilmente governarono dietro le quinte imponendo
le loro volontà.
Lamberto Visconti nel 1216 prima di sposare Benedetta, ottenne da
Barisone e dalla sua stessa futura moglie l'autorizzazione alla
costruzione di una rocca, nella collina che oggi chiamiamo Castello, per
conto dei mercanti pisani che insediandovisi potevano controllare e
difendere meglio i loro traffici. Il nuovo
borgo fortificato fu chiamato Castel di Castro, primo nucleo della città
di Cagliari attuale.
Nel 1232 morì Benedetta e solo dopo 3 anni nel 1235 governò
effettivamente Guglielmo Salusio V, che morì nel 1250 (data non certa).
Giovanni Torchitorio V chiamato Chiano (1250-1256): si mostrò
filogenovese e, temendo la crescente arroganza dei pisani e le loro
ingerenze nel regno, nel 1256 chiamò i genovesi favorendone
l'insediamento nella rocca di Castel di Castro ed espellendo nello
stesso tempo i pisani. Per questa sua posizione filogenovese fu ucciso
nella città di S. Igia per mano di sicari pisani.
Salì al trono il cugino primo Guglielmo.
Guglielmo Salusio VI (1256-1258): continuò con l'essere alleato dei
genovesi, che favorì in tutti i modi, giungendo a “cacciare” i pochi
pisani residenti nella rocca di castello.
I pisani cercarono aiuto presso gli altri giudici sardi e, forse, con la
promessa di nuovi territori, ne ebbero l'adesione formando un
formidabile esercito completato dalla loro stessa flotta.
Nel 1258 assalirono Castel di Castro espugnandolo e assediarono S. Igia
che si arrese impotente perché senza aiuti genovesi e senza
rifornimenti. La città fu completamente distrutta, i suoi abitanti si
dispersero rifugiandosi nell'interno.
S. Igia aveva convissuto con Castel di Castro per 42 anni e da tanti
secoli rimane nell'oblio nascosta dai palazzi edificati sopra le sue
rovine.
Si concluse così la lunga storia del Giudicato di Calari, il suo
territorio fu diviso in tre parti assegnate come segue:
- la zona Nord Orientale al giudicato di Gallura.
- la zona settentrionale al giudicato di Arborea.
il Sulcis e l'Iglesiente a Gherardo e Ugolino della Gherardesca di
Donoratico;
evidentemente anche loro avevano partecipato con propri armati
all'assalto del giudicato, Pisa invece prese possesso di Castel di
Castro con le sue dipendenze.
Il Giudicato di Calari
S. Igia
Nel 700 d.C. i musulmani fecero la loro prima apparizione nelle coste
sarde e fu il terrore.
La loro fama di predoni spietati si diffuse in tutta l’isola creando
un’atmosfera di insicurezza e paura. Una prima conseguenza fu lo
spopolamento delle città costiere che col passare dei secoli furono
completamente abbandonate. Anche la Caralis Bizantina subì la stessa
sorte con un trasferimento graduale ma definitivo della popolazione nei
pressi dello stagno di S. Gilla.
Fu così che la Caralis fenicio punica fu completamente abbandonata e
cadde in assoluta rovina.
L’abbandono di Caralis non fu però causato solo dal pericolo delle
invasioni arabe, la città bizantina si era modificata rispetto a quella
romana, prediligendo la zona occidentale e all’indomani della cacciata
dei vandali, i bizantini pensarono di stanziarsi definitivamente
nell’isola con dei presidi militari stabili e con porti dove le navi non
corressero pericoli.
A Caralis i bizantini sfruttarono il vecchio Porto fenicio, facendo
attraccare navi nello stagno, protetto dall’imboccatura-strettoia,
facilmente difendibile.
Fu così che pian piano quel sito fu ripopolato fin quando diventò vera
città con l’immigrazione degli abitanti della Calaris romana.
Lentamente dal 700 al 900 d.C. S. Igia si ingrandì e diventò un centro
urbano, protetto da un castello con cattedrale e possenti mura.
La città si estendeva dalla Via S. Paolo al Viale Monastir comprendendo
le odierne Vie Garigliano e Simeto e si trovava esattamente compresa
nella direttrice Monte S. Michele-Sa Illetta.
Forse S. Igia si consolidò grazie al materiale a disposizione delle
rovine fenicie, fu così che furono distrutte completamente le
testimonianze ancora esistenti del tophet e forse del primo approdo
fenicio.
Possiamo immaginare S. Igia con un tessuto urbano simile al posteriore
Castrum Calari, viuzze strette con abitazioni civili che, una accanto
all’altra, lasciavano pochi spazi, mura possenti dominate da alte torri
davano l’illusione di sicurezza agli abitanti.
La città ad iniziare dall’VIII secolo, fu inizialmente residenza dei più
abbienti, che come è intuibile, avevano molto da perdere da eventuali
attacchi musulmani, al contrario dei poveri che potevano perdere solo la
vita.
Il porto lagunare costituì il vero polmone della città, infatti l’unico
collegamento con i dominatori di turno avveniva tramite il mare e da lì
i bizantini portavano ad oriente ciò che sotto forma di tributi
depredavano.
A S. Igia risiedeva il rappresentate bizantino che amministrava la
Sardegna e che, dopo le prime incursioni arabe, aveva assunto anche i
poteri militari.
Diciamo S. Igia, intendendo il Castello e la Fortificazione bizantina
che costituì il primo nucleo ed embrione della città, che probabilmente
fu eretto a partire dal VII secolo.
Intanto gli arabi si fecero talmente forti da troncare tutti i contatti
con l’oriente. La Sardegna fu abbandonata a se stessa e lo Iudex
provincie sardo, per meglio controllare il territorio, divise l’isola in
“Partes” affidandole a propri luogotenenti chiamati “Lociservatores” con
funzioni militari e civili.
Fu così che Torres-Arborea Gallura e Caralis diventarono le quattro
“Partes” della Sardegna, il luogotenente di ogni parte pur obbedendo
allo Iudex di Carali, pian piano diventò onnipotente nella propria zona.
Col passare del tempo, i Lociservatores diventarono judex delle loro
parte, rendendosi indipendenti dallo judex di Caralis.
Purtroppo nessuna fonte storica ci ha riportato notizie sul come questa
indipendenza si concretizzò, ma non pensiamo che questa avvenne
pacificamente.
La Sardegna alla fine del IX secolo si trovò così divisa in quattro
giudicati (Da judex), che sarebbe più giusto chiamare regni.
A questo punto la “parte” di Carali di Latina memoria divento Calari
perdendo l’originale radice Car, forse per ragioni di pronuncia o per
metatesi.
Con l’indipendenza da Bisanzio il Regno di Calari o Pluminus (fai fiumi
che l’attraversavano) si consolido autonomamente, dando notevole impulso
a S. Igia che ne diventò la capitale.
L’antagonismo fra i 4 regni sardi diventò sempre più marcato, forse per
paura che ognuno volesse impadronirsi del territorio dell’altro.
Si ebbero così dei confini rigidi ed insuperabili che portarono i regni
sardi ad avere rapporti più con gli stranieri che tra se stessi.
S. Igia intanto divenne una vera e propria città medioevale, calamitando
popolazioni dall’interno che non trovarono però spazi dentro la cinta
urbana e costrette a vivere ai margini della stessa zona (Via
S.Avendrace); forse risale a quel periodo l’uso del cimitero di S.
Michele (fuori le mura) per le sepolture.
S. Igia non si può considerare la prosecuzione della Cagliari punica
romana ma una nuova città che nulla aveva in comune con l’altra.
Dire che la corte del regno o giudicato di Calari risiedeva a S. Igia è
giusto fino ad un certo punto, nel Medioevo infatti le corti erano
itineranti e per questo motivo passavano la maggior parte del tempo
fuori dalla città capitale.
Nel 1216 il Giudice di Calari concesse ai pisani di costruire una zona
fortificata nel vecchio sito dove sorgeva l’acropoli punica, nel colle
di castello; nacque così Castrum Calari, che ebbe vita comune con S.
Igia per una quarantina d’anni.
Il gioco delle alleanze fu però fatale al giudicato di Calari e alla sua
capitale, nel 1258 infatti, una coalizione degli altri tre giudicati
sardi e del comune di Pisa l’assalì in quanto filogenovese e la
distrusse completamente così cessò, da quel momento il giudicato ed i
pisani si reinsediarono nella città fortificata di Castrum Calari da cui
erano stati cacciati.
Santa Igia così come Caralis scomparve per sempre, ora giace sotto
costruzioni della Cagliari moderna e i ruderi che nel corso degli anni
sono emersi sono stati frettolosamente ricoperti.
L’unico sito che potrebbe chiarire il periodo di vera indipendenza
dell’isola, fornendo dei reperti preziosi, è stato sacrificato
nell’altare della urbanizzazione.
La Cagliari attuale dunque è la Castrum Calari pisana che ingranditasi
ha assorbito il sito antico della Calaris fenicio-punica e di S. Igia;
tre città diverse che però hanno in comune il territorio, le tradizioni
e il passato.
I PISANI 1258 - 1324
Con l'acquisizione di Castel di Calari e la terza parte del territorio
ex giudicale, che diventa vero possedimento d'oltremare pisano, la
Gallura, i toscani diventano dominatori di gran parte della Sardegna,
considerata anche l'influenza sui Gherardesca che governano il Cixerri e
il Sulcis.
La Rocca di Castello (Castrum Calari o Castel di Calari) era governata
da due castellani di nomina annuale che si avvalevano di un consiglio di
anziani in rappresentanza del popolo diviso in compagnie a seconda delle
attività commerciali o artigianali esercitate. La vita della Rocca era
disciplinata da un codice di leggi chiamato "Breve".
Nel 1297, Papa Bonifacio VIII, per risolvere la guerra (Del Vespro)
scoppiata in Sicilia tra Aragonesi e Angioini sostenuti dalla Chiesa,
formò il "Regno di Sardegna e Corsica" concedendolo agli Iberici che
avrebbero rinunciato alla Sicilia.
Il Papa aveva quindi dato il suo consenso alla conquista dell'isola, in
pratica una "licenza di invadere".
I pisani si prepararono all'imminente ed inevitabile arrivo degli
iberici, fortificando la Rocca e costruendo te possenti torri
(1305-1307) e fortificando anche il colle di San Michele in
considerazione della sua posizione strategica.
Dai Pisani agli Aragonesi
D'Aragona Giacomo II concedendogli il titolo di fatto che il re iberico
avrebbe dovuto concretizzare con la conquista reale del territorio.
I pisani nell'attesa dell'inevitabile arrivo degli aragonesi,
fortificarono ulteriormente il Castrum con l'erezione tra il 1305 e il
1307 delle torri di S.Pancrazio, dell'Elefante e dell'Aquila (oggi non
più esistente) costruendo anche una serie di difese minori.
Ciò non bastò poiché nel 1326 furono costretti ad abbandonare la rocca e
concederla agli aragonesi che si insediarono cercando di iberizzare al
massimo le istituzioni e la rocca stessa, costringendo i sardi ad uscire
dalle mura al suono di una tromba.
Con gli aragonesi arrivarono in città e nell'isola uno stuolo di signori
che ebbero dei territori in feudo iniziando il lungo periodo di
vessazioni che si concluderà nel 1838 con l'abolizione del sistema
feudale. Gli aragonesi fecero della rocca la residenza del governatore e
poi del viceré e le zone limitrofe fuori le mura furono destinate ai
locali, nacquero così i quartieri di Stampace e Villanova mentre quello
di Marina fu rinforzato con nuove mura e adibito a deposito e primo
accoglimento per le mercanzie sbarcate dalle navi, il porto fu cinto da
una palizzata il cui accesso veniva chiuso con robuste catene.
S. Igia e le rovine di Karalis romana servirono intanto da cava fornendo
materiali di ogni tipo per la edificazione di sempre nuove case di cui
il Castrum e le sue appendici avevano bisogno.
La cittadella fortificata vide pian piano formarsi una valida classe di
artigiani che ben presto si affermarono in tutta l'isola; Castel di
Calari intanto, dopo la sconfitta e la caduta del giudicato di Arborea
nel 1420, diventò a tutti gli effetti 'Capitale' dell'isola iniziando
quel ruolo che ancora oggi interpreta di città mercantile e di porto
della Sardegna.
Numerosi ebrei si stanziarono nel colle dedicandosi ai commerci di cui
erano maestri; la zona tra via S. Croce e via Fiume fu la loro residenza
dove sorgeva una sinagoga di cui ora non resta traccia.
Con l'avvento degli spagnoli alla fine del XIV secolo e la ventata di
ortodossia cristiana essi furono scacciati e la sinagoga distrutta, al
suo posto eretta la basilica di S. Croce quasi a volerne cancellare
anche il ricordo.
Cagliari e gli Spagnoli
Con gli spagnoli Castrum Calari fu chiamata Castel De Caller e poi solo
Caller, fu un periodo nel quale il dispotismo dei feudatari diventò
sopruso ed il popolo non ebbe forse, neanche la forza di reagire, mentre
i signori ed i ricchi locali facevano a gara per conquistare impieghi di
prestigio o favori da parte dei governanti.
Il parlamento sardo di stanza nella città era formato da tre bracci
chiamati Stamenti che avevano il compito di fissare il donativo al re e
si riunivano di norma ogni 10 anni; per quel periodo era una istituzione
di "alta democrazia", che purtroppo nulla poteva fare per lenire i
bisogni del popolo.
Il desiderio di ottenere incarichi pubblici da parte dei signori sardi
fu la causa che scatenò gli assassini del marchese di Castelvì e del
viceré Camarassa nel 1668, ma la Massa rimase estranea all'episodio non
avendo nulla da ottenere.
La città intanto andava assumendo una fisionomia nettamente spagnola e
le tradizioni iberiche, il modo di costruire, la lingua ebbero il
sopravvento impregnando e modificando la cultura autoctona, i quartieri
fuori le mura andavano riempiendosi di immigrati che cercavano nella
città una vita con meno stenti e lontano dalle vessazioni feudali
dell'interno dell'isola.
I Piemontesi
Nel 1700, con la morte del re spagnolo Carlo II e la lotta per la
successione tra Carlo D'Asburgo e Filippo di Borbone la Sardegna diventò
Asburgica e Cagliari fu testimone del passaggio agli austriaci
insediatisi nel 1708 grazie ad un bombardamento della flotta
Anglo-Olandese sulla città che si arrese. Il breve governo filoasburgico
della città e dell'isola portò altre tasse, necessarie per le crescenti
spese belliche, mentre Filippo V di Borbone riportò alcune significative
vittorie e fu favorito dalla morte dell'imperatore Giuseppe I fratello
di Carlo III.
Carlo diventò infatti imperatore col nome di Carlo VI, ciò impensierì le
potenze europee che prevedevano un suo pericoloso strapotere e
preferirono riconoscere re di Spagna Filippo V in cambio del Regno di
Sicilia da cedere ai duchi di Savoia e di Gibilterra e Minorca agli
inglesi. Tutto ciò fu perfezionato con la pace di Utrecht nel 1713.
Cagliari intanto stava a guardare e assistette con meraviglia al ritorno
imprevisto degli spagnoli che nel 1717 sbarcarono un contingente di 9000
fanti in territorio di Quartu e, attestatisi a monte Urpinu,
cannoneggiarono la città costringendo gli Asburgici ad arrendersi.
Il colpo di mano spagnolo, violando palesemente gli accordi
internazionali, era stato ispirato dal cardinale Alberoni, stretto
consigliere della moglie di Filippo V, Elisabetta Farnese.
Le potenze europee, ora riunite in una quadruplice alleanza, decisero
con l'accordo di Londra di restituire la Sardegna a Carlo VI il quale
ottenne di scambiarlo con la Sicilia già dei Savoia, per avere una
continuità con i territori napoletani già sotto il suo dominio.
Il 16 luglio 1720 a bordo di una nave inglese arrivò a Cagliari il primo
Viceré Piemontese, Guglielmo Pallavicino Barone di S. Remy, inaugurando
una lunga serie di funzionari.
Cagliari fu, ancora una volta, al centro delle vicende che interessarono
la Sardegna e ne subì i risvolti negativi, poiché fu sempre la prima ad
assistere ai "cambi di guardia" e ricevere suo malgrado i nuovi
governanti di turno.
Cagliari dopo quattro secoli di cultura iberica entrò definitivamente
nell'orbita italiana, diventando inconsapevolmente la prima capitale
storica del futuro regno d'Italia.
I piemontesi non cambiarono nulla, lasciando inalterati sia i diritti
che le prerogative feudali e, nonostante la corona finalmente acquisita,
i Savoia evitarono la visita dell'isola fino a quando furono costretti a
fuggire dal Piemonte caduto in mano ai francesi di Napoleone nel 1799.
Cagliari, vide nuovi funzionari, nuovi nobili e nuovi edifici di gusto
tutto piemontese e cercò di adattarsi, senza però rinunciare alle
proprie tradizioni, alla lingua e alla dignità.
Con la rivoluzione francese e il tentativo di esportazione delle nuove
idee giacobine, una flotta francese apparve nel 1793 nel golfo di
Cagliari sbarcando un forte contingente che però fu respinto,
inspiegabilmente, dagli stessi miliziani sardi arruolati dai signori,
che avrebbero dovuto accogliere i Francesi come liberatori.
Sperando di ottenere qualcosa da quel comportamento leale verso i
governanti piemontesi, alcuni signori locali tentarono di ottenere delle
concessioni tra le quali la riunione degli Stamenti almeno ogni dieci
anni e la possibilità di accesso per i sardi a cariche pubbliche.
Se si pensa che il parlamento formato da tre bracci o Stamenti aveva
solo il "dovere" di confermare il donativo al Re, possiamo dedurre come
la richiesta fosse banale e non certo rivoluzionaria. Con ciò il sovrano
sabaudo evitò di ricevere la delegazione recatasi a Torino che rimase in
attesa per mesi provocando la reazione di alcuni notabili che decisero
l'insurrezione che in breve portò alla cacciata di tutti i piemontesi
dall'isola, il 29 aprile 1794;
quel giorno, di recente è stato proclamato festa regionale col nome de
"Sa Die De Sa Sardigna".
Intanto nel 1799, come già accennato, arrivarono a Cagliari la corte ed
il sovrano e la provincialità della città sembrò venire meno, ma le cose
non cambiarono anzi nuove tasse furono imposte per sostenere le spese
della corte non avvezza certo al risparmio.
Nel 1812, una nuova sommossa, la congiura di Palabanda, scoppiò a
Cagliari proprio per la fame e la grande carestia e fu soffocata nel
sangue.
Finalmente nel 1838, dopo 514 anni, con disposizione del re Carlo
Alberto fu abolito il feudalesimo e nel 1847 anche il parlamento sardo,
si ebbe così la fusione con un unico parlamento a Torino e naturalmente
cessò la carica di Viceré; il regno di Sardegna passava da stato
composto a stato unitario senza null'altro mutare.
Intanto il fervore dell'unificazione pervadeva grandi uomini e forse
anche il popolo, con le guerre per l'indipendenza si arrivò al 1861
quando il parlamento sardo riunito, formato dai rappresentanti di tutti
gli stati annessi al regno di Sardegna espresse la volontà di formare il
"Regno d'Italia" di cui Vittorio Emanuele II, senza cambiare l'ordinale
ne diventò il primo sovrano.
Cagliari nell'Italia unita
All'indomani della proclamazione del Regno d'Italia la Sardegna fu
divisa in due province, Sassari e Cagliari, controllate da un Prefetto;
le province furono divise in circondari.
Quella di Cagliari comprendeva i seguenti circondari: Cagliari,
Iglesias, Oristano e Lanusei con quattrocentomila abitanti circa ed un
totale di 260 comuni.
Furono anni pessimi per la città, con gli interessi del governo centrale
tutti rivolti al consolidamento dello stato e a conquistare prestigio e
popolarità nell'ambito delle grandi potenze di allora.
I deputati sardi cercarono invano di porre il "Problema Sardegna" che
ormai non poteva più essere trascurato; cercando di ottenere dal governo
Ricasoli, lavoro, strade, mezzi pubblici e strutture basilari quali
ospedali e scuole.
L'unica risposta fu la creazione di una commissione che doveva indagare
sul da farsi, ma che si concluse con un lungo rapporto che rimase a
testimoniare l'impotenza dello stato che era a " tutt'altre faccende
affaccendato ". Con la conquista di Roma nel 1870 e la sua proclamazione
a " Capitale d'Italia ", Cagliari lasciò ogni speranza di aiuti pubblici
assistendo alla emorragia finanziaria che lo stato sopportava pur di
creare una capitale che doveva dare ai Savoia una sede consona alle loro
ambizioni.
Cagliari sede del prefetto, languiva tra la mancanza di lavoro e
l'estrema povertà della gente che cercava di sbarcare il lunario
inventando i lavori più disparati, mentre nell'urbe affluivano tutte le
risorse italiane insieme a immigrati di tutte le regioni che fecero
diventare quella piccola città una grande caotica e disordinata capitale
che cancellava per sempre la tradizione storica per assurgere a centro
politico e concentrazione di pubblici dipendenti, ambasciatori, sede di
grandi imprese e di tutti i comandi militari, delle grandi banche che
lucrarono a dismisura con i flussi di capitali pubblici che
trasformarono la città eterna in una metropoli, capitale di uno stato
ancora in gestazione, ma insicuro e instabile economicamente volto più
agli aspetti esteriori che all'affrontare i problemi del neonata nazione
unita.
Con l'inaugurazione nel 1906 del Palazzo Civico nella via Roma, Cagliari
abbandonò quel mondo ristretto che per secoli era stato Castello e
iniziò la sua avanzata verso la pianura che la circondava, ma in quello
stesso anno, le tensioni sociali e gli alti prezzi dei generi alimentari
portarono il popolo a una cruenta dimostrazione che per quattro giorni
terrorizzò la città e che si concluse con una sparatoria che causò morti
e feriti dopo la quale il Governo nazionale inviò un forte contingente
di militari e numerose unità della marina militare.
I "Signori" e gli alti funzionari non abbandonarono subito la città
alta, anzi in un primo periodo, con la fuga dei popolani, solo la casta
alta risiedeva entro le mura, mentre Marina rimaneva prigioniera degli
altri quartieri, che si svilupparono intorno.
Stampace, in pochi anni, si congiungeva col borgo di S. Avendrace,
Villanova avanzava inarrestabile verso lo Stagno di Molentargius e con
l'avamposto della zona popolare di "Su Baroni" (via Tuveri) sfiorava il
selvaggio M. Urpinu.
La via Roma, diventò il salotto buono della città, con negozi bar e
caffè; la passeggiata classica, dove convergevano dalla periferia i
cittadini per mostrare il nuovo abito e per osservare quello degli
altri.
Si conoscevano quasi tutti tra loro, i cagliaritani, essendo ancora
pochi, con la città che appariva un grosso "Paesone"; i Pirresi, i
Quartesi ed i Selargini, appartenevano allora ad un altro mondo e si
distin-guevano facilmente quando scendevano in città per passeggiare o
fare acquisti.
Impresa non di poco conto arrivare a Cagliari dai paesi vicini con le
tramvie del Campidano che avevano una fermata principale proprio dove
ora sorge La Rinascente.
Lo scrittore David Herbert Lawrence nel suo libro "Mare e Sardegna"
scritto dopo il viaggio nell'isola compiuto nel gennaio del 1921, ci
fornisce una descrizione realistica di Cagliari e dei suoi cittadini.
"Avevamo attraversato la strada verso il Cafè Roma, e trovato un tavolo
sul marciapiede, tra la folla. Subito, avemmo il nostro Thè. La serata
era fredda, c'era ghiaccio nel vento. Ma la folla continuava a
ondeggiare, avanti e indietro, avanti e indietro, lentamente. Ai
tavolini c'erano soprattutto uomini, seduti a bere caffè o Vermouth o
aqua vitae, tutto così familiare e semplice, senza il moderno impaccio.
C'era una certa robustezza di spirito, piacevole, naturale e un che di
disinvoltura feudale. Poi arrivò una famiglia, con bambini e governante
in costume tradizionale. Sedettero tutti insieme a un tavolo,
perfettamente a loro agio, gli uni con gli altri, anche se la stupenda
governante sembrava seduta in fondo al tavolo, da serva."
E continua: "La folla è dall'altra parte della strada, sotto gli alberi
vicino al mare. Dal nostro lato, passeggiano solo i pedoni occasionali.
E vedo il mio primo contadino in costume. E' un bell'uomo, anziano,
diritto, splendido nel suo costume bianco e nero. Ha la sua camicia
bianca con le maniche arricciate e lo stretto corpetto nero di folto
panno locale, corto. Da qui spunta fuori un gonnellino arricchito dello
stesso panno nero di cui una fascia passa tra le gambe tra i larghi
mutandoni di Lino grezzo."
Una istantanea letteraria che ci dipinge un quadro realistico del tempo;
questa è la cronaca di Lawrence nonostante la sua velata vena
sarcastica, del nordico che dipinge usi e costumi a lui estranei, e
forse li ammira, ma non li comprende, considerandoli oltre che
provinciali, molto paesani. Quella era la Cagliari dove esprimersi in
dialetto era la norma, dove bastava la passeggiata domenicale nella via
Roma per appagare il desiderio di "Fare qualche cosa".
I lampioni a gas che rendevano il buio tremolante e insolito; lo
sferragliare delle ruote dei carri e l'urlo dei venditori ambulanti per
attirare i compratori; una Cagliari diversa, forse arretrata, ma
depositaria di valori che oggi vorremmo riscoprire, per ritornare a
quella semplicità che si esprimeva con l'assenza del "Moderno impaccio"
come descritto da Lawrence.
Certo, era una Cagliari povera dove il pollo la domenica era un
miracolo, dove si lavorava 12 ore, dall'alba al tramonto, dove il
fidanzatino usciva con la propria amata, scortato dalla futura cognata.
Altri tempi, altri usi, altri modi di vita, altra città.
Il modernismo però avanzava inesorabilmente bussando alle porte della
semplicità che, si sa, è figlia della tradizione. Se modernità vuol dire
anche rinunciare al proprio passato e abbandonare il consueto modo di
vivere; questo successe negli anni trenta-quaranta.
La luce elettrica, le prime auto che circolavano in città; le radio di
dimensioni gigantesche che troneggiavano in molti bar perché dato il
prezzo non erano accessibili ai più.
Le adunate fasciste, con moltitudini di ragazzi e ragazze vestiti con le
divise imposte dal potere; così la città piano, piano, entrò nel
presente italiano, scordando la propria parlata, i propri costumi.
I teatri, Margherita e Civico, diventarono luogo d'incontro della classe
più agiata, mentre i poveri, che rimanevano maggioranza, si
accontentavano dei cinematografi dei quali molti all'aperto.
Le estati si passavano a "La Playa" unica e vera spiaggia frequentata,
con stabilimenti balneari e posti di ritrovo, il Poetto invece
timidamente faceva i primi passi.
Intanto il cemento aveva raggiunto l'odierna piazza Garibaldi, il
palazzo Incis veniva inaugurato negli anni 30, in quella piazza Galilei
circondata da campi incolti.
La scuola elementare "Riva" diede alla piazza Garibaldi un aspetto
importante, data la sua moderna im-ponenza e animazione con le centinaia
di scolari che quotidianamente vi affluivano.
Erano anni in cui la malaria imperversava, così come il tifo e le
enterocoliti; ma si tirava avanti nonostante tutto; senza analisi e
antibiotici; senza "Marcare visita" perché nessuno pagava quando si era
assenti dal posto di lavoro..
In quegli anni iniziarono le costruzioni a "Macchia d'olio" senza un
piano regolatore e senza nessuna programmazione della città del futuro.
Dalla II guerra mondiale alla autonomia regionale
La II guerra mondiale era alle porte, stavano per arrivare morte e
distruzione e Cagliari, subito dopo sarebbe diventata un'altra città,
con la ricostruzione e la creazione della Regione Autonoma.
I disastri causati dalla guerra erano visibili fino a poco tempo fa a
chi, arrivando con la nave in porto, guardasse oltre la banchina, dove
stavano in bella evidenza i ruderi del palazzo sventrato prospiciente.
Furono distrutti o danneggiati, il teatro Civico, la chiesa di S.Anna,
S.Caterina, S. Domenico, il cinema Eden Roch (angolo viale Regina
Margherita- via XX Settembre), il palazzo Villamarina, il bastione
S.Remy e tante altre costruzioni.
Erano anni duri, quelli dopo la guerra, quando i cagliaritani
rientrarono nelle proprie case dopo aver "sfollato" nei paesi
dell'interno.
La città, dopo i primi bombardamenti era stata completamente
abbandonata, vi giravano solo i carabinieri per arginare la piaga dei
furti.
Tanta gente fu depredata di tutto, tanta altra gente si arricchì
improvvisamente, erano gli anni del mercato nero e dell'autarchia che
costringeva a produrre tutto ciò che non si poteva importare.
Surrogato del caffè, pane nero, tacchi delle scarpe in sughero, abiti
rivoltati chissà quante volte, ma si sopravviveva e ciò bastava.
Chi oggi passeggia in città o nelle sue vicinanze, non può che
sorridere, notando i fortini in cemento che il regime costruì per
difenderci dall'eventuale sbarco alleato. Per fortuna lo sbarco è
avvenuto in Sicilia, altrimenti la nostra città sarebbe stata ridotta ad
un cumulo di macerie.
Arrivarono gli americani, con il loro benessere, la loro ricchezza, le
loro sigarette, il loro cioccolato. Le ronde militari controllavano la
città, cercavano di contrastare la prostituzione, primo mestiere del
mondo e unico modo per sbarcare il lunario.
Molte nostre concittadine si sposarono con gli statunitensi e si
trasferirono negli USA abbandonando le miserie locali; arrivarono i capi
di vestiario usati "Sa Robba Americana" ed in breve tempo ognuno ebbe di
che vestirsi.
Ma l'opera più importante di quegli anni fu la lotta alla malaria.
Gli americani, con la sede proprio nel caseggiato Riva iniziarono una
campagna massiccia contro la zanzara anofele responsabile della
malattia; e con il famoso DDT irrorarono case, fogne, stagni, paludi,
fiumi e tutto ciò che poteva nascondere quel pericoloso insetto.
Fu una vittoria netta, la malaria gradualmente scomparve dall'isola alla
faccia dei cartaginesi che 24 secoli prima l'avevano "generosamente"
importata.
Arrivò dopo breve tempo l'autonomia regionale e la speranza per un
futuro più roseo e proficuo.
Cagliari, in quegli anni era in condizioni disastrose, le profonde
ferite ed i segni tangibili delle grandi distruzioni che i bombardamenti
le avevano causato erano evidenti e caratterizzavano l'aspetto della
città con palazzi sventrati, macerie che ostruivano strade e piazze,
linee elettriche distrutte, tubazioni dell'acqua interrotte; uno
scenario apocalittico che avrebbe scoraggiato anche il più grande
ottimista.
Nel 1944, con un regio decreto fu istituito "L'alto Commissariato
italiano della Sardegna", con compiti di direzione e coordinamento tra
il governo nazionale e
le istituzioni pubbliche locali, con lo scopo di rendere efficaci gli
interventi per combattere la terribile crisi economica e l'arretratezza
generale dell'isola.
Il 2 giugno del 1946, i cagliaritani come tutti gli italiani, votarono
per il referendum istituzionale che doveva scegliere tra monarchia e
repubblica, come è noto vinse la repubblica nonostante la Sardegna si
fosse espressa per la monarchia.
Intanto la fondazione Rockefeller con un gigantesco sforzo finanziario,
attraverso l'ERLAAS (Ente Regionale per la Lotta Anti-Anofelica in
Sardegna), riesce a sconfiggere la malaria dopo aver irrorato tutto il
territorio dell'isola e le abitazioni con il D.D.T., era il 1950.
La Sardegna il 26 febbraio 1948, era diventata regione a Statuto
speciale, non senza critiche da parte di politici sardi che ritenevano
lo statuto inferiore a quanto richiesto e insufficiente per risolvere la
endemica situazione di sottosviluppo dell'isola.
Cagliari diventò ufficialmente capoluogo della regione autonoma e una
febbre di costruzione e ricostruzione ben presto la pervase innescando
il fenomeno dell'urbanesimo, con l'immigrazione di numerose famiglie
dall'interno che cercavano a Cagliari lavoro e vita dignitosa.
I quartesi diventarono gli impresari edili più quotati e ottennero la
maggior parte degli appalti e delle costruzioni pubbliche e private.
La ricostruzione
Alla fine degli anni cinquanta la città si allargava in modo
inarrestabile; i nuovi quartieri sorgevano come funghi.
San Benedetto diventò il quartiere nuovo per eccellenza con palazzoni e
negozi, non si pensò però ne' al verde pubblico ne' ai parcheggi; Monte
Urpinu fu raggiunto dal cemento e perse le caratteristiche di oasi verde
e selvaggia; S.Alenixedda nacque improvvisa assorbendo pinete vigne e
oliveti; Genneruxi, sfidando le zanzare ormai non più nocive, avanzò con
le sue costruzioni verso V.le Marconi.
I quartieri storici iniziarono il loro declino; in Castello si ebbe
un determinante cambio dei residenti in quanto i ricchi, i nobili e
l'alta borghesia che ancora vi risiedevano si trasferirono nei nuovi
quartieri più confortevoli, mentre le classi più povere e gli immigrati
presero possesso delle abitazioni malsane e in forte degrado resesi
disponibili, con canoni di locazioni veramente a buon mercato.
L'avvento della televisione nel 1954 causò nuovi fenomeni sociali: le
famiglie si riunivano presso amici o parenti per seguire i programmi più
noti come "Il Musichiere" o "Lascia o Raddoppia".
Cagliari andava sempre più assumendo le caratteristiche di città
commerciale, attirando persone in cerca di fortuna e di affari.
Arrivarono tra gli altri, napoletani, siciliani, pugliesi che in breve
si affermarono come imprenditori commerciali, dando lavoro ai locali e
creando solide aziende delle quali molte oggi sopravvivono.
C'era bisogno di tutto e tutto si comprava, il consumismo faceva girare
il danaro dando a molti opportunità di ricchezza mentre altri erano
costretti a cercare il pane all'estero o vivere in condizioni di povertà
e degrado da terzo mondo.
Fino agli anni '60 alcune famiglie occupavano gli anfratti
dell'anfiteatro, altre erano ospitate nei "ghetti popolari" che allora
si chiamavano "Is Prazzas" ed erano costituiti da abitazioni fatiscenti
con servizi in comune e fontanella d'acqua esterna per tutta la
comunità, una di queste "residenze" aveva gli ingressi nella Via
Garibaldi e occupava l'area della odierna Via Vittorio Emanuele Orlando.
Subito dopo il 1960, i giovani oltre alle passeggiate "in cricca" nella
Via Dante o nella Via Roma, scoprirono il ballo e si organizzarono in
"Club" trasformando magazzini, garages, depositi, in mini-discoteche
dove passavano le serate danzando o ascoltando i 45 giri.
Un vero fenomeno di costume che forgiò tanti adolescenti e che fece
abbandonare e dimenticare i giochi all'aperto fino ad allora praticati
come, la trottola, la cerbottana, la corsa ciclistica con i tappi di
bottiglia, prontus-quaddus-prontus e pincaro.
Ma un grande pericolo era in agguato anche nella nostra città, la droga,
che irruppe improvvisa e repentina turbando il vivere sereno di decine
di famiglie.
Gli studenti, iniziarono ad interessarsi dei problemi mondiali e
iniziarono i grandi scioperi nelle scuole superiori; i giovani
diventarono in quegli anni parte attiva della società con le loro idee e
i loro principi cercando giustizia sociale e un futuro migliore.
Nel 1970, un giorno che i cagliaritani difficilmente scorderanno, e con
loro tutti i sardi: il Cagliari di "Gigirriva" vince lo scudetto. I
festeggiamenti che seguirono videro persone di tutte le età che gioivano
e piangevano accomunate da una soddisfazione che solo lo sport può dare.
La città rimase bloccata per molte ore; cortei di auto, fiaccolate,
balli improvvisati e la statua di Carlo Felice vestita con drappi
rossoblù e con l'immancabile scudetto sul braccio proteso.
Intanto il benessere lentamente aveva raggiunto tutte le classi sociali
e le famiglie possedevano auto, frigorifero, lavatrice e televisione.
A metà degli anni '70 l'inflazione, a livelli altissimi, iniziò a
indebolire gli stipendi ed i salari; i grandi investimenti pubblici ed
il tentativo di industrializzazione iniziarono a dimostrarsi
fallimentari; tante aziende chiudevano, tanti lavoratori perdevano il
posto e i giovani non trovavano
lavoro, la crisi mostrava i primi segni e la struttura economica della
città iniziò a sfaldassi.
Chi si era stabilito a Cagliari per godere di fondi pubblici per
impiantare stabilimenti, finiti i finanziamenti, lasciò la città e
rientrò nella penisola; altri chiusero le attività per mancanza di
ordinativi e per crisi di liquidità.
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