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La Notte nelle leggende e i
racconti popolari della Sardegna
La Notte nelle leggende e i
racconti popolari della Sardegna
Nella cultura dell'entroterra la leggenda e in genere la tradizione del
racconto si sovrappongono ad un altro costume sociale, quello della «balentia».
Qualità specifica dell'uomo è la sopportazione delle difficoltà, del dolore,
della paura: diventare balente era la massima realizzazione sociale del
giovane, status che portava rispetto e prestigio all'interno della
comunità. La celebrazione dell'audacia, del vigore (e della virilità), dello
sprezzo del pericolo (e della morte) trovano giusto spazio nell'articolarsi
delle storie raccontate: la Notte, in Sardegna, diventà una realtà diversa e
trasformata (come anche accade in altre suggestioni culturali: si pensi alla
descrizione della notte in Transilvania nel romanzo di Stoker, o
nell'"Intervista col Vampiro" di Anne Rice, e negli altri
innumerevoli racconti ambientati nell'est europeo), autonoma rispetto al
giorno, popolata di esseri fantastici e tenebrosi, solitamente nunzi di
sventura o di morte (quasi mai di buone novelle) e molto spesso insospettabili
attori della vita quotidiana.
E allora, così popolata, la Notte è un adeguato banco di prova per il «balente»,
che dal suo sopraggiungere non doveva essere impressionato o intimidito. Le
donne sì, potevano avere paura del buio, ma non un uomo giovane, forte e
ardito. Lungi dal temere le creature notturne, il balente è anzi portato a
sfidarle liberamente: le antiche operazioni di furto di bestiame, condotte
tipiche di dimostrazione d'audacia nel mondo pastorale, si svolgevano alla
luce della luna, quasi come divinità benigna e influsso d'auspicio per le
prove di forza.
Dalle prove di balentia nascono anche le varie e diffuse leggende sui riti
d'iniziazione: imprese ardue, contese con esseri diabolici e spiriti della
Notte, per la conquista della ricchezza, o del potere di realizzare tutti i
desideri. La Rosa di Gericò, custodita dal Diavolo in persona (!) in una gola
del monte Corrasi, doveva essere colta la notte di San Giovanni a mezzanotte;
anche i tre fiori della felce maschio, che secondo un'altra leggenda avevano
il potere di rendere immuni ai colpi d'archibugio (quale vantaggio per un
balente!), dovevano essere colti a mezzanotte in un luogo lontano e deserto,
da colui che fosse stato tanto temerario da non fuggire qualsiasi cosa avesse
visto.
Ma la Notte, anche nella cultura atavica dei sardi, è per sua natura
collegata all'immagine della Morte. La Morte annunciata dai sinistri
avvertimenti degli animali (in alcune tradizioni il toro, in altre la civetta
o il cane col suo lungo e inquietante ululato); dal triplice muggito de «s'érchitu»,
l'uomo-bue, davanti alla casa di colui che l'indomani dovrà morire. La Morte
dispensata dalla «sùrbile», trasformazione di una donna malvagia che sotto
questa forma notturna va a succhiare il sangue dei neonati. La Morte che
condannava le donne morte di parto - le «panas» - a riapparire ogni Notte
per sette anni a lavare i panni del neonato, senza proferir parola.
La Notte è anche, preferibilmente, il momento dell'apparizione del Diavolo,
nei luoghi più impervi (numerose storie ne indicano la dimora in «Su
Gorroppu», stretta gola nei monti tra Orgosolo e Urzulei) ove secondo le
leggende gli si poteva vendere l'anima, per ottenere in cambio - come Faust da
Mefistofele - ricchezza, onore, gloria, o l'amore di una donna. Anche le donne
potevano contrattare con Satana, ma in tal caso dovevano venderglisi anima e
corpo, in linea con le più note tradizioni sulle streghe secondo cui il
Signore degl'Inferi si accoppiava abitualmente e ritualmente con le sue
discepole (o figlie, o adoratrici, o allieve).
Insomma, la Notte è lo sfondo preferenziale per lo svolgersi delle storie
tradizionali, raccontate davanti al camino o nei cortili, tra donne
indaffarate, e tuttora vivide nella memoria degli abitanti di molte zone
dell'Isola: l'oscurità impedisce il rapporto sensoriale con la realtà
circostante, e da sempre stimola la percezione di ciò che possiamo solo
immaginare, e che per sempre non potremo fare a meno di intuire o credere.
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